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"Il cane magro è qui l'espressione di un moto dell'anima che svela vissuti riconoscibili in ogni vita, provocando quasi immediatamente fenomeni catartici nel lettore. Là, in quel non-luogo ove la poesia risuona nel profondo, diviene efficace l'utilizzo di un linguaggio spoglio, quasi crudo, nel passaggio dell'essere che, da tronfio, si fa dimesso e muto per ferita da abbandono. La fluidità di genere di chi scrive emerge nelle considerazioni soggettive ed oggettive dei tumulti d'amore, nel sentimento inflitto o subito, nella celebrazione di un'identità queer sempre più consapevole di un sé caleidoscopico, che soggioga il verso e lo porta a sottolineare lo sguardo polimorfo del poeta sul mondo e quello dell'essere umano sulla moltitudine di vite che si trova ad esperire nella simultaneità. Il verso si fa a tratti sorprendente, come nella ripresa dell'iperbole cara ad Eugenio Montale, inscritta in un'immagine di quotidianità mai ermetica, che talvolta si dimostra opprimente, lucidamente sofferta e divorata dalla fame di vita." (Dalla prefazione di Francesca Puopolo)